“IN LABIRINTO” di e con EMYLIU’ SPATARO al TEATRO del PRADO di ROMA – recensione di RODOLFO DI GIAMMARCO – foto di scena

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Emyliù "In Labirinto"

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Ascolta la recensione dalla voce di Emyliù

Video-recensione di “IN LABIRINTO” sul Tubo

CHE VORRA’ dire “In Labirinto”?
Così si intitola una rielaborazione di testi la cui spina dorsale è una novella di Sartre, “La camera”, smembrata e ridotta a monologo con ausilio di frammenti danteschi e temi presi a prestito da Borges. Un enigma, un intrigo circolare senza soluzione, forse, che dalla letteratura si vorrebbe dirottare a teatro.

Il groviglio della storia messa in scena dalla compagnia “Il gioco del teatro”, recitante Emyliù Spataro, ha un percorso obbligato: il padre e la madre di una donna si scandalizzano, s’affliggono per lo scrupolo a cui lei s’ostina nel difendere il matrimonio col marito pazzo, condannato mentalmente al delirio, all’inerzia. Ma la figlia niente, non si da per vinta, continua a costo di imboccare un vicolo cieco, sopportando ogni alterazione ed esasperazione della sua convivenza.

Alcuni ruoli sono sopperiti dallo stesso Spataro, altre voci giungono da un registratore, l’ambiente pare un imbuto soffocante, e i segni da leggere sono uno specchio, un muro graffiato, un alito di malattia che paralizza ogni contatto, ogni dialogo: padre-figlia, padre-madre, figlia-marito, in una via crucis di “Così è se vi pare” ridotto in cocci, in schegge demenziali. Un’idea niente male, quasi un labirinto della memoria, ciò che Freud immaginava come tanti corridoi intorcinati, intestini, un “Filo d’Arianna”, un cordone ombelicale.


Anzi di più: lui nel labirinto rappresenta una nascita anale e qui (magari è un caso) si distinguono alcuni strapazzamenti del protagonista in bilico tra i sessi, le identità, a un certo punto scosso da una cerimonia che ha parentele con la “figliata” napoletana.


E’ proprio questa chiave dialettale, assunta come linguaggio infimo, rivela molta suggestione. Quasi da tragedia contadina, il lutto che viene cantilenato da una prefica in gramaglie.

Una scena di “In Labirinto”

“Tra gli altri personaggi di un racconto di Jean Paul Sartre (“La Camera da “Il Muro): il padre, la madre, la figlia, il marito Pietro, schizofrenico), nella mia piece “In Labirinto” rappresentata al Teatro del Prado di Roma di Giuseppe Rossi Borghesano, interpretavo anche Arianna, Teseo, il Minotauro di Borges e una prefica del sud mentre stendevo ad asciugare i miei abitini da bambino… Cadevo ripetutamente da una sedia, re-citando il XXXIII canto del Paradiso, prima di partorire un collo di pelliccia. Alla fine dello spettacolo mia Madre Eleonora e le mie Zie Lucrezia e Giovannina vennero in camerino, e temetti che si fossero vergognate perchè in una scena indossavo una vestaglietta della Nonna Filomena e invece erano preoccupate che cadendo dalla sedia potessi “rompermi gli organi interni” ❤

Emyliù

La scena della Prefica che appende gli abitini ad asciugare

Una prova domestica del minotauro

Schizzo per la locandina

La foto ex voto di Emiliuccio a 8 mesi vestito da San Cataldo, santo patrono di Cirò Marina, usata in gigantografia in una scena-rituale della messa in scena

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